Immuni ma non alla sorveglianza

Leggo per quanto riguarda la fantomatica app Immuni che dovrebbe tracciare la popolazione e segnalare se si hanno avuto contatti con soggetti contagiati, annunciata in maniera roboante come strategia “volontaria”, che si ipotizzano ulteriori limiti alla mobilità per chi decida di non utilizzarla. Ulteriori perché anche utilizzando l’app (o in alternativa un braccialetto!) saranno previste delle restrizioni alla mobilità. Chi si oppone tra le altre cose parla dell’obbligo di uso dello smartphone (o del credito per le connessioni mobili, ché in Italia le numerose offerte sono tutt’altro che economiche) ma ancora prima io chiederei quali altri strumenti si pensa di affiancare all’app, perché da sola non potrebbe mai essere efficace. I tamponi? Riusciremo a farli in maniera estesa? Saremo in grado di potenziare la sanità pubblica nel frattempo?

Stefania Maurizi (@SMaurizi su Twitter), giornalista investigativa da poco “scappata” da Repubblica, che ha lavorato sui Wikileaks e sui file di Snowden e che quindi ha una conoscenza professionale e approfondita sulle questioni della sorveglianza digitale, non smette di lanciare l’allarme sul tema chiedendo che se ne discuta pubblicamente. Neanche dopo l’11 settembre, afferma, si è arrivati ad uno scenario simile, una sorveglianza di massa che integra i dati sulla salute, da decenni ormai definiti dati sensibili e quindi maggiormente tutelati e dati di localizzazione. Ci sono ovviamente enormi interessi economici e di intelligence intorno a questo settore. Il dibattito pubblico sul tema invece è tanto necessario quanto assente, soprattutto in Italia direi, dove temo che una discreta maggioranza non veda l’ora di scaricare sul proprio telefono un’app di tracciamento sul cui funzionamento e sulle cui garanzie di sicurezza nessuno saprebbe dare risposte certe.

Maurizi

Il problema è dunque a monte, ed è connesso all’assenza generale di un dibattito sul capitalismo della sorveglianza e sull’entusiastico ed incosciente utilizzo dei social media e delle piattaforme digitali in assenza di una minima alfabetizzazione informatica che andrebbe invece garantita a tutti. Nessuno nega che la questione del Covid-19 sia grave ed urgente, mentre leggo che si fanno pericolosi paralleli coi No Vax (really?) chiamando No Trax chi si permette di fare domande o mettere in discussione il percorso che si va tracciando (mi perdonerete il gioco di parole). Semplicemente non tutte le soluzioni sono uguali, e se una non vale l’altra, allora occorre valutare tempestivamente e a tutto tondo le conseguenze di medio e lungo termine delle scelte che si vogliono effettuare. Dire che non è questo il momento di far polemica sembra la mossa dello struzzo, perché un dopo, se e quando arriverà sarà tardi per tornare indietro sui passi fatti.

Un esempio calzante e che riguarda da vicino quasi tutte le famiglie (basta avere un figlio in età scolare e/o essere docenti) è quello della didattica a distanza, promossa in fretta e furia, senza la preparazione tecnica, umana, professionale, e ancor meno strutturale necessaria, e quindi improvvisata e lasciata alla buona volontà e, occorre dirlo, a tantissimo lavoro supplementare di un comparto, quello educativo, ormai storicamente bistrattato. I risultati parziali sono sotto gli occhi dei molti che vedono e vogliono vedere e riflettono innanzitutto le enormi differenze di classe. In tutto ciò, tranne poche voci fuori dal coro, la retorica dominante elogia la novità e ne auspica il mantenimento, tacendo evidentemente delle enormi difficoltà cui si sta andando incontro e che si rifletteranno in maniera pesante a settembre, sempre che si torni davvero sui banchi di scuola. Questo avviene inoltre facendo affidamento esclusivo a piattaforme digitali che sono i principali colossi della rete, che hanno poco a cuore la tutela della privacy e della sicurezza personale e in più, acquisiscono tramite la scuola per la stragrande maggioranza dati di minori, che andrebbero particolarmente tutelati:

Sono un docente ingenuo, non so come fare DAD, didattica a distanza. Vado sul sito del ministero dell’istruzione e vedo il link: «Didattica a distanza». Clicco. Ci sono due menù: il primo è «Esperienze per la didattica a distanza», l’altro «piattaforme».

Sotto questo secondo punto sono elencate tre piattaforme: Google, Microsoft, Amazon. Tre enti privati tra i più potenti al mondo schiaffati in bella mostra (da Giap, Brodo di DAD. Appunti per non farsi bollire a scuola durante e dopo l’emergenza coronavirus).

Infine, per essere chiari, quando parliamo di sicurezza in ambiente digitale ed in particolare nel contesto di applicazioni che gestiscono dati personali e sensibili, temiamo esattamente questo:

Proposed government coronavirus tracking app falls at the first hurdle due to data breach

The source code of a proposed app for tracing COVID-19 exposed user data after being published online.

A mobile application proposed to the government of the Netherlands as a means to track COVID-19 has already fallen short of acceptable security standards by leaking user data.

The app, Covid19 Alert, was one of seven applications presented to the Ministry of Health, Welfare, and Sport, as reported by RTL Nieuws.

The shortlisted mobile app’s source code was published online over the weekend for scrutiny as the government decides which solution to back. It was not long before developers realized that the source files contained user data — originating from another application.

According to the publication, the app contained close to 200 full names, email addresses, and hashed user passwords stored in a database from another project linked to an Immotef developer.

The source code was quickly pulled, but the damage was already done, with one developer criticizing the leak as “amateurish.” (continua qui).

Se l’obiezione è “tanto siamo tutti già tracciati” è sbagliata dal principio. Primo perché lo siamo ad un livello di scala ampio ma differente, molto ridotto rispetto a quello che ci aspetta. Secondo perché formalmente siamo liberi di non farci tracciare, se ciò accade è perché lo vogliamo o perché non ci rendiamo conto delle implicazioni che comporta e se ne fossimo a conoscenza interromperemmo questo processo. In ogni caso, è necessario conoscere bene come funzionano i dispositivi che utilizziamo e scegliere consapevolmente se continuare a farlo o cercare alternative. Per alcune cose probabilmente niente è meglio di qualcos’altro; in particolare se questi si basano su gamification e inducono FOMO, questo è un segnale che ne indica la pericolosità intrinseca. Se non conoscete bene queste tematiche e vorreste approfondire, in primo luogo suggerirei di leggere il libro di Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, di cui parlo qui e di vedere la puntata di Presa diretta sull’argomento per farsi un’idea.

Le nostre città e La buona educazione degli oppressi

Quando scorrendo il feed sui social leggi notizie come questa (faccio la parafrasi): a Ferrara rimuovono 150 panchine nei parchi pubblici per contrastare lo spaccio – operazione “Parchi sicuri”, pensi che il caldo stia dando alla testa un po’ a tutti, e del resto i bollettini meteo confermano. Succede anche a Messina, dove il sindaco De Luca, molto bravo a intercettare per tempo l’andazzo politico ormai da parecchio tempo, si diverte non solo a fare ordinanze antipoveri (la povertà non l’avevano già abolita quelli al governo?) e a tutela del sempre fumoso “decoro“, ma utilizza i social come strumento per bastonare virtualmente i “devianti” incurante di tutelarne i diritti al punto da spingere alcune associazioni a scrivere al Garante per la privacy e a quello per l’infanzia, visto che in quella triste gogna social scatenata scientemente non si ha riguardo nemmeno per l’età dei malcapitati. L’uso punitivo dei social è stato considerato preoccupante dal garante per l’infanzia del Comune di Messina che ha prontamente chiesto un incontro al sindaco. È un bene che una parte della società civile, per fortuna immune alla facile indignazione da tastiera, si mobiliti contro quello che non esito a definire bullismo istituzionale, lo stesso che poche settimane fa aggrediva lavavetri e mendicanti, un atteggiamento vergognoso che è stato a mio parere umanamente e politicamente annichilito dalla pregevole risposta data dalla comunità nigeriana di Messina. De Luca è lo stesso sindaco che fa i blitz non solo contro i tradizionali falò di Ferragosto (mentre sullo sfondo le colline del messinese bruciano come ogni estate nel silenzio istituzionale e generale) ma anche contro coloro che semplicemente si accampano sulle spiagge senza accendere fuochi. Quando si dice le priorità. Che indecenza signora mia. Siamo così indecorosi da dover essere ‘disciplinati’ con la forza dall’autorità che dovrebbe piuttosto rappresent

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arci e magari tutelarci? Questo filo rosso che “lega” ormai da anni il concetto di sicurezza nelle città, sventolato da amministrazioni anche di opposto colore politico è ben spiegato dall’ottimo testo di Wolf Bukowski (@vukbuk), La buona educazione degli oppressi, che ricostruisce la “piccola storia del decoro” spiegando come siamo arrivati a smantellare panchine e multare nullatenenti col plauso di alcuni (troppi) e il tacito assenso della solita maggioranza silenziosa. Il testo mi ha aiutata a comprendere l’ansia che mi ha assalita nel tornare a Bologna e trovarla militarizzata come fosse stata ieri luogo di attentato (e purtroppo lo è stata ma parliamo di parecchi anni fa); il disagio di vedere fermati dalla polizia alla stazione solo quelli che ricalcano un banale meme che dovrebbe prendere in giro gli USA, mica noi, diamine!

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È di neanche due settimane fa l’esultanza di Nardella, forse il più renziano dei renziani di fronte al proliferare di telecamere a Firenze:

Nardella

La città più videosorvegliata d’Italia! Questi sì che sono obiettivi politici… Nessuno stupore, Nardella era quello che difendeva le fioriere contro la disperazione per un fratello morto. Intanto vi sentite più sicuri? Tutti quei militari armati fino ai denti, tutti quegli occhi meccanici ad osservarvi, beh, non funzionano: lo scopo dichiarato è quello di prevenire il crimine ma ovviamente non possono essere strumenti preventivi perché registrano quello che accade, quindi no, non prevengono il crimine. In Gran Bretagna dove il Grande Fratello è più pervasivo rispetto alle nostre latitudini cominciano a rendersene conto. E di studi sull’argomento ce n’è tanti e sembrano concordanti: “Pervasive security cameras don’t substantially reduce crime“; “Police Chief: Surveillance cameras don’t help fight crime“; “L’ossessione per la videosorveglianza dalle metropoli ai piccoli comuni. Gli studi scientifici: “Pochi effetti sulla criminalità”. (La carrellata di link è merito della @Wu_Ming_Foundt che ha scritto un ottimo thread su twitter)

Cosa fanno allora le telecamere? Servono a dare la percezione della sicurezza, che “conta più dei fatti”. Boutade? No, era già nero su bianco quando si elaborava la teoria delle finestre rotte, ci spiega Bukowski. Io intanto percepisco solo insicurezza da parte delle istituzioni e progressivo spostamento verso uno stato di polizia. E non è certo l’ultimo governo la causa o la svolta sull’argomento.

L’emergenza irrisa

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Altri quattro morti sul lavoro oggi in Italia, anche se continuano a non far notizia. Sull’ANSA si parla di sfuggita dei due operai morti nel milanese, probabilmente perché come conseguenza è stata interrotta una tratta ferroviaria. Il curatore dell’Osservatorio indipendente di Bologna aggiorna quotidianamente il bollettino di guerra e non si può che condividere la sua rabbia di fronte ad un ministro del lavoro che, tacendo della perenne emergenza e con sprezzo della dignità umana omaggia aziende ed imprenditori dandogli la buona novella: nuove tariffe INAIL più basse del 30%. Evidentemente è il ministro delle imprese più che del lavoro, se festeggia la riduzione dei “costi del lavoro” che in soldoni significa meno costi in formazione e prevenzione: sempre dalla parte dei padroni. Non solo nessun cambiamento, si può considerare un oltraggio ai più di mille morti l’anno, più di tre ogni giorno. Di cosa parla il ministro Di Maio nel concreto? Vengono, as usual, tagliate le tasse agli imprenditori per circa il 30%, generando entrate ridotte per l’INAIL di 1,7 miliardi per il triennio 2019-2021, che verranno coperte da una serie di tagli sia ai fondi destinati ad incentivare la prevenzione degli infortuni sia agli sconti per chi migliora la sicurezza della propria azienda. Se questo è un successo per il ministro non lo è certamente per i lavoratori. Tutto ciò avvalora ciò che da più parti si dice da tempo: mettere in soffitta le categorie di destra e sinistra è inutile se non dannoso; nella pratica, le politiche si muovono lungo tale asse e come volevasi dimostrare, il né di destra né di sinistra propugnato dai Cinque Stelle si conferma una volta di più equivalente a destra, molto a destra.

 

Dal fondo del baratro

Fermo restando che ognuno è libero di illudersi ed ingannarsi come preferisce, le scelte politiche di qualunque tipo si situano all’interno di un’asse destra-sinistra, nel quale destra è (vado con l’accetta) in sintesi l’attenzione ai pochi e già privilegiati e sinistra è al contrario riguardo e tutele verso i più deboli, gli ultimi. Un governo si può collocare lungo questo asse in base alle politiche che sceglie di adottare, anche ciò di cui non si occupa può costituire un indicatore, così come lo è il modo di approcciarsi a qualsiasi questione. Nel mio ultimo post ho sostenuto che ci troviamo di fronte ad un governo pienamente razzista. Confermo e rilancio: si tratta di un governo di estrema destra. Dentro di me non c’è alcun dubbio, è un dato di fatto, ma ieri sera ascoltando la rassegna internazionale su Rainews sono quasi sobbalzata quando Al Jazeera parlando del governo italiano lo ha definito con testuali parole “di estrema destra”. Ovvio, no? I media internazionali di qualsiasi colore definiscono tale il governo italiano, pacificamente, mentre da noi si sta in una bolla di irrealtà in cui un governo autoproclamatosi del popolo combatte quotidianamente contro i poteri forti per fare gli interessi della nazione; della nazione, perché il popolo è davvero un’altra cosa. Uno dei temi fondamentali in cui c’è accordo nel governo, al netto delle foglie di Fico buone per i benpensanti che credono di stare vivendo nel (quasi) migliore dei governi possibili, è quello dei confini, della difesa dello stato nazione, un argomento che potrebbe essere vintage ormai ma che in tempi di ristrettezze ha dimostrato un rinnovato fascino a livello internazionale. E mai nella storia i confini hanno aiutato i più deboli, come ricorda Giuliano Santoro presentando Jacobin Italia a Fahrenheit su Radio 3 proprio oggi; un tristissimo ripiegamento nelle proprie miserie che viene giustamente spernacchiato dai miseri governi “amici” in Europa, ovviamente di estrema destra anch’essi: Orbàn e Kurz proprio oggi chiedono, in riferimento alla manovra italiana, austerità e rispetto delle norme europee! Una manovra che potrebbe essere condivisibile in principio riguardo il superamento dei parametri europei, economicamente e politicamente senza senso, ma che da sinistra non può essere assolutamente difesa perché non ha nulla nell’interesse dei più deboli. Disclaimer: chiunque voglia obiettare su quello che chiamano erroneamente, e sicuramente qualcuno in malafede, reddito di cittadinanza e che invece è una bieca misura di workfare, anche in Germania ormai respinta dai più, vada a studiare prima di parlare a vanvera; oppure aspetti la concreta attuazione di questa ridicola misura, e piange bene chi piange per ultimo. Leggi ne sono state fatte davvero poche, ma è sufficiente una lettura al decreto sicurezza per poter controfirmare senza tema di smentita che a scriverlo è stato un governo di estrema destra. Se devo poi parlare di quelli del cambiamento, una parola che in sé non vuol dire nulla e che nell’aggettivo climatico suona come la più grave minaccia globale bellamente ignorata da tutto l’arco parlamentare (e oltre) – almeno nel resto del mondo se ne parla anche se a fberlusca-baratro-italia-color1atti siamo comunque scarsi – una volta elogiavano la trasparenza e sono finiti come segue. La sindaca di Torino, che a differenza di Virginia Raggi non è stata costantemente sotto l’attenzione del sistema mediatico, ha annunciato una diretta streaming non per un consiglio comunale ma per lo sgombero di un campo rom. Una cosa talmente raccapricciante che dovrebbe far inorridire chiunque abbia un minimo di empatia e invece…

E invece viviamo nel paese che si indigna per dei senzatetto che nel momento in cui arriva il freddo, quello duro, cercano riparo e calore negli ospedali. E no, non si indignano per la scarsa accoglienza o per la mancanza di alternative a questi sventurati. Scrivo dal baratro, non dal suo orlo ma proprio dalle profondità, e la luce lassù si fa sempre meno visibile. Sono tornati gli anni Venti, in questo secolo ancora prima, e siamo ancor meno preparati di allora. 

 

 

PS fuori tema. Nei giorni scorsi ho letto un bellissimo post sulla punteggiatura che mi ha spinto a fare attenzione all’uso del punto e virgola, che tra l’altro mi è congeniale visto il mio esagerato utilizzo di incisi e periodi lunghi. Approfitto di questo post per condividerlo con chiunque sia interessato, e fateci caso, c’è qualche punto e virgola qui sopra.