Credo di non avere ancora parlato del Wisconsin, eppure non è una cosa diversa. Già, perché le rivolte del mondo arabo non sono “speciali”, o differenti da quello che accade nel cosiddetto occidente. Bisognerebbe anche ricordarsi della Grecia e dell’Irlanda, qualche volta. Come dice Valerio Evangelist, parlando del Wisconsin:
Siamo in presenza di un nuovo 1967-68. Una ribellione mondiale contro le imposizioni capitalistiche. Il rischio è che, questa volta, nessuno ci faccia caso. Si sono estinte, o godono di minore fortuna, le grandi analisi. Si ripiega dunque su quelle sempliciste: dal puro democraticismo liberale (la rivolta è contro regimi oppressivi) ai deliri detti “geopolitici” cari sia alla sinistra perbene di Limes che ai rossobruni (strano mix politico tra fascisti e comunisti ultra ortodossi).
Mentre in realtà il problema è globale: il capitalismo, e più nello specifico il monetarismo. Per rincorrere quella che resta una ideologia (tra l’altro dimostratasi fallimentare) e non una teoria scientifica, si rimettono in discussione diritti quali il lavoro, l’istruzione, la sanità, la pensione. Continua Evangelisti:
Questo accade nel Wisconsin e accade in Italia. Ma che c’entra l’Africa del Nord? Chiaramente le forme dell’insubordinazione assumono aspetti aderenti alle caratteristiche locali, e tuttavia la matrice unificante è ben visibile, per chi la cerchi con un minimo di perspicacia.
Nel Nord Africa regimi tirannici hanno resistito finché non si sono piegati al liberismo, investiti dal vento occidentale. Da quel momento hanno spalancato le porte al capitale straniero, lasciato la forza lavoro in balia di se stessa (nell’immaginario alimentato ad arte appaiono ancora società semi-rurali, mentre il tasso di industrializzazione è altissimo), favorito processi di privatizzazione e di compartimentazione sociale.
Per intenderci:
Ma personalizzare è la via peggiore. La Libia non differisce dalla Tunisia, dall’Egitto ecc. perché è la classe più colpita e penalizzata che si leva in piedi. Non islamisti oltranzisti, non nostalgici di regimi precedenti, non esponenti di minoranze tribali (queste componenti ci sono, ma non riflettono l’intero movimento). Si tratta invece di proletari, in maggioranza giovani o giovanissimi, che non riescono a scorgere un futuro possibile, nell’ambito del quadro economico neoliberista dominante. Il fatto che il regime elargisca elemosine, sotto forma di beni di sussistenza a prezzo politico, non li fa uscire dal binario morto in cui sono parcheggiati.
Vale ad Atene, a Parigi, a Roma, a Lisbona, a Tunisi o nel Wisconsin.
E vorrei citare anche @puncox che in un chiarissimo post sul blog afferma:
La rivolta araba non solo non se l’aspettava nessuno, ma nessuno ha contribuito a organizzarla, se non i popoli insorti e le contraddizioni interne al capitale.
In questo caso è il “precario moltitudine” che, dopo l’operaio massa, si appropria della scena sociale.
A scendere in piazza è una nuova soggettività sociale, sorta dei mutamenti che negli ultimi decenni hanno attraversato il capitalismo a livello internazionale.
Una soggettività che rispetto all’operaio massa ha un’arma in più.
Sin dal primo momento le rivendicazioni non sono solo sociali, salariali, come erano a piazza Statuto. Quelle folle reclamano diritti sociali e politici: soldi, pane e libertà.
Insomma, il filo rosso di cui avevo parlato nei precedenti post mi sembra sempre più chiaramente visibile. E noi siamo in mezzo al vortice, non esenti da problemi che sono comuni a tutti i paesi, perché globali, se pur con le dovute distinzioni. E’ importante capire che in fondo non c’è differenza tra il Wisconsin e Tripoli, tra Atene e il Bahrein. E Roma dov’è?