Stato e rivoluzione

stato e rivoluzione.jpgArrivare a 35 anni avendo letto molto di Marx ma nulla di Lenin è imperdonabile, devo aver pensato quando un po’ di tempo fa presi al volo Stato e rivoluzione, appena lo vidi in una libreria. Un testo che dovrebbero leggere tutti coloro che sbagliando identificano il marxismo con lo stalinismo, o comunque il comunismo con l’URSS, ignorando in buona o cattiva fede la reale dottrina marxiana, Lenin e ciò che sarebbe dovuta essere la rivoluzione comunista se fosse stata integrale. Non si tratta di utopie o immaginazione, come ogni studioso di Marx già sa: il rigore scientifico dello studioso di Treviri è estremo. Lenin interpreta il pensiero di Marx e di Engels alla perfezione, ricordandoci dell’attenzione che i due fondatori del marxismo ponevano ai dati di fatto come ai reali rapporti di forza, un insegnamento a cui non possiamo rinunciare.

LA CONCEZIONE MARXIANA DELLO STATO

L’autentica concezione marxiana dello Stato implica il suo annientamento in quanto esso è strumento di oppressione di classe (“Ogni stato è una “forma  repressiva particolare” della classe oppressa”) e, dopo una necessaria fase di transizione, ovvero la dittatura del proletariato, non ha più ragione di esistere proprio perché la vittoria della classe operaia implica l’abolizione di tutte le classi.

Per Marx lo Stato è l’organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe su un’altra; è la creazione di un “ordine” che legittima, legalizza e rinsalda questa oppressione, attenuando il conflitto tra le classi.

Dopo l’esperienza storica delle rivoluzioni incompiute avvenute in Europa tra il 1848 e il 1851 Marx perfeziona ciò che era solo abbozzato nel Manifesto del partito comunista “in maniera ancora troppo astratta, generica” per quanto concerne almeno la pars destruens della rivoluzione; così Lenin: “e questo Stato proletario dovrà necessariamente estinguersi immediatamente dopo aver ottenuto la vittoria, perché in una società senza antagonismi e lotta di classe lo Stato è un organismo inutile”. L’esperienza della Comune di Parigi è un altro tassello essenziale che conferma a Marx quanto sia necessario annientare la macchina statale e non solo prenderne possesso: “condizione preliminare essenziale di ogni rivoluzione popolare (…)”. Inoltre, le vicende parigine permettono di elaborare meglio anche la cosiddetta pars construens, quindi la realtà della società comunista; in particolare occorre lo scioglimento dell’esercito permanente, quindi il monopolio della forza in mano allo Stato va sostituito con il popolo armato a difesa della rivoluzione e inoltre è ugualmente necessaria la totale eleggibilità e revocabilità di ogni funzionario per eliminare la burocrazia. Questo perché, e qui Lenin si rifà ad Engels e alla terza edizione della Guerra civile in Francia del 1891 in cui è data “l’ultima parola del marxismo sulla questione in esame”: “anche nella repubblica democratica, lo Stato rimane lo Stato; conserva cioè la sua caratteristica fondamentale: far divenire i funzionari e servitori della società padroni della stessa”.

CHI È MARXISTA

In tempi in cui il conflitto di classe, anzi la stessa sussistenza delle classi sociali è dai più messa in dubbio se non ignorata, chi lo riconosce potrebbe sembrare dalla parte “giusta” della storia ma ciò in realtà non è sufficiente, come dimostra un altro passo del testo di Lenin che sento di dover citare:

Colui che si accontenta di riconoscere il conflitto tra classi non è ancora un marxista ed è possibile che egli non riesca a spingersi oltre i limiti del pensiero e della politica borghese. Ridurre il marxismo alla lotta tra classi significa mutilarlo, farne ciò che è ritenuto accettabile dalla borghesia.

Marxista lo è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta tra classi sino all’accettazione della dittatura del proletariato. In questo consiste la differenza più profonda tra il marxista e il banale piccolo e grande borghese. È in questo che bisogna mettere alla prova la comprensione e il riconoscimento effettivi del marxismo.

Nella temperie del 1917, Lenin aveva preparato il piano di un ulteriore capitolo che però rimanda con l’avvento dell’Ottobre. Vorrei poter scrivere come fece nel Poscritto alla prima edizione, “è più piacevole e più utile fare “l’esperienza di una rivoluzione” piuttosto che scrivere un volume su di essa” ma devo fidarmi sulla parola, nell’attesa del sol dell’avvenir.

Espulsioni, ovvero comprendere la brutalità del presente

Espulsioni è un testo fondamentale per provare a capire come sta evolvendo il sistema capitalistico. Attraverso un’eccellente bibliografia il libro costruisce una solida ipotesi servendo di una “cassetta degli attrezzi” decisamente utile a chi è interessato ad indagare le recentsassencoveri evoluzioni dell’economia globale. Poiché le parole sono importanti, la ricerca di termini che possano dare significato ai mutamenti socioeconomici in atto, è in realtà difficoltosa e spesso insufficiente, e Saskia Sassen ha il merito di saper trovare le parole “giuste” che anticipa già dal titolo: espulsioni avvengono nelle più disparate sfere della società ad opera di formazioni predatorie che generano una “forma di accumulazione sempre più primitiva”. La brutalità di tale meccanismo socioeconomico genera esclusione, rappresentando la più vistosa differenza con il capitalismo novecentesco, eppure “la complessità concorre a determinare l’invisibilità”: si tratta di forze concettualmente sotterranee.

Saskia Sassen per rendere visibili tali movimenti indaga il margine sistemico, “il luogo in cui si estrinseca la dinamica chiave dell’espulsione dai diversi sistemi in gioco: l’economia, la biosfera, il sociale”. C’è un sottile file rosso che lega questioni apparentemente lontane, che vanno dalle foreclosures seguite alla crisi dei subprime e dei CDS (credit default swaps) allo scioglimento del permafrost, dal frackling ai contadini che vengono allontanati dalle loro terre per fare posto a piantagioni di palme da olio, dai profughi alle carcerazioni.

In riferimento alle carcerazioni, si fa un inquietante collegamento con quelle perpetrate dai regimi dittatoriali e si sostiene inoltre che le popolazioni carcerarie, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove si va diffondendo la loro gestione privata, sono “sempre più simili alla versione attuale della manodopera eccedente che caratterizzò i brutali albori del capitalismo moderno”.

In questo contesto nord e sud globale subiscono, seppure in forme spesso diverse, le stesse brutalità. Nel nord si chiama austerity mentre nel sud “programmi di aggiustamento strutturale” ma il risultato è la stessa contrazione dello spazio dell’economia di un paese, che allo stesso tempo non intacca la redditività delle imprese. Inoltre tali programmi sono correttamente definiti “regimi destinati a imporre disciplina“. Illuminante al riguardo il riferimento al caso greco:

la Grecia è soltanto un caso particolarmente semplice e accelerato di tale ristrutturazione, che in altri paesi è semplicemente più mediata e quindi più lenta.

Ciò che avviene è una sorta di “pulizia economica” per cui sistematicamente, sempre più frequentemente e in diversi punti del globo viene espulso ciò che è considerato molesto. Sassen si spinge al punto di riconoscere che non si tratta di anomalia o di una qualche crisi ma esattamente “l’attuale approfondimento sistemico dei rapporti capitalistici“.

Tra le conclusioni degne di nota emerge anche la chiamata alla correità degli stati nazione, sì in crisi d’identità ma non semplici vittime della globalizzazione, in quanto “è di fatto il ramo esecutivo del governo che si allinea sostanzialmente al capitale delle società multinazionali”.

Saskia Sassen comunque non mitizza la fase keynesiana del capitalismo, anzi la pone correttamente in prospettiva: si è trattato di un periodo in cui l’inclusione era conveniente e dunque necessaria per lo sviluppo economico.

Proprio da questi assunti nasce uno dei quesiti che restano al termine della lettura: se il periodo migliore del capitalismo è stato tale per una pura logica economica, se la sua configurazione attuale non è un’anomalia né una semplice crisi, perché non mettere in discussione il capitalismo in sé? Il secondo quesito è posto tra le righe dalla stessa autrice quando afferma la necessità di concettualizzare lo spazio degli espulsi, perché è lì che sarà possibile agire. Un compito ancora enorme anche se agevolato sicuramente da questo testo. In realtà ritengo che i due quesiti siano collegati e le risposte potrebbero essere trovate più facilmente con il soccorso di qualcuno da Treviri.

Stato dell’informazione e del marxismo

Cosa succede nel mondo? Qui da noi le cose vanno come sempre, il governo si piega ma non si spezza, si discetta delle solite cose all’italiana mentre il magnaccia del boss e` finito in galera. E all’estero? Dalla Libia il solito rumore di sottofondo, della Siria pare non ci sia piu` nulla, la Spagna e` un lontano ricordo e della Grecia si sa solo il rinvio del nuovo prestito da parte dell’Eurogruppo ma si deve andare in fondo alla home page de Il Fatto. Sull’Ansa nulla, su Repubblica neanche. Ma la societa` civile dove sta? Vabbe` che da noi e` anestetizzata dalle solite beghe tra celoduristi e viagristi, pero` all’estero e` viva e lotta, senza di noi. Devo andare su twitter per sapere qualcosa, seguire @acampadasol per la spagna e lo stesso account consiglia @tinaletina per avere news tradotte (ovviamente in spagnolo) dalla Grecia. Gia` perche` in entrambi i paesi sono in strada a protestare contro il sistema. Non contro i politici perche` son tutti ladri o vacuita` del genere. Il problema e` il sistema economico che ci strangola, e che e` reso piu` evidente nella sua cattiveria dalla crisi globale.

Il bisogno di sinistra di cui parlavo pare affacciarsi anche tra di noi, comunque. Come fanno notare su Giap in una bellissima discussione sui social network, il referendum e il fantomatico “popolo della rete” pure Grillo cerca di intercettare il fenomeno. Gia`, sul suo blog c’e` un’intervista ad Hobsbawn dal titolo Il marxismo oggi e c’e` pure la possibilita` di comprare l’ultimo libro del grande storico marxista. Appero`, mi son detta. Chissa` che si dice nei commenti? Ho dato una scorsa, solo ai piu` votati per ovvi motivi di tempo, e mi sono divertita un po`. Tra banali semplificazioni e slogan di geniacci per cui comunismo e fascismo son la stessa cosa, leggo un commento davvero divertente di un tizio che ritiene che l’ideologia vada praticata privatamente, mentre dai partiti deve restare fuori. E di grazia, messere, la politica in base a cosa la si fa, per sorteggio di argomenti e azioni da intraprendere?

Al di la` della ovvia ignoranza che gira da sempre nel blog di Grillo tra i commenti, mi sembra un significativo segnale il fatto che sia stata fatta questa intervista. Beppe Grillo non pubblica a caso o secondo il sentimento del momento, ha dietro una vera industria che programma gli interventi allo scopo di intercettare il piu` possibile utenti. Ecco, cio` significa che i suoi esperti hanno scoperto questa voglia di sinistra, per di piu` marxista, che serpeggia tra i cittadini italiani. Questa e` la bella notizia del giorno, direi, nell’attesa che si passi alle pratiche reali.