Le priorità della società: finalmente la scuola?

Le decisioni su aperture e chiusure sono principalmente politiche, questo dovrebbe essere ormai assodato. Gli esperti e i tecnici analizzano e riportano, ma poi le decisioni le prende la politica e da queste ultime possiamo ragionevolmente presumere le priorità. Sulla scuola ad esempio, se a marzo poteva essere una decisione difficile ma forse necessaria la chiusura, anche se resto convinta che avrebbe avuto più senso una modulazione per zone vista la differente incidenza del virus nelle diverse regioni, così come il CTS inascoltato disse, a settembre è stata evidentemente segno chiaro di fallimento, perché c’era tutto il tempo per organizzare contromisure, trovare fondi e impiegarli, organizzare ingressi e collocazione fisica anche utilizzando strutture reperite ad hoc, e invece soprattutto ma non solo per le superiori almeno c’è stata praticamente un’autodenuncia di fallimento. La ministra che tanto ha insitito sulla riapertura sembra una voce superficiale e inascoltata; anche quando il Presidente del Consiglio, ora dimissionario, prima delle feste ha sostenuto la riapertura a gennaio  in realtà ci credeva poco. E infatti a gennaio la riapertura è stata rinviata, anzi, sono finite online anche elementari e medie in molti territori, come ad esempio in Sicilia, dove ad esempio si è organizzato lo screening su base volontaria in ritardo. Se davvero ci fosse stata la volontà univoca di riaprire, ci sarebbe stato il tempo di organizzare strutture, spazi, orari e screening in maniera composta e ordinata. Ad ogni modo alla fine in Sicilia anche se zona rossa le classi hanno ricominciato in presenza fino alla prima media, almeno dove le amministrazioni locali non hanno deciso diversamente. In altre parti d’Italia si è dovuti ricorrere ai tribunali amministrativi per chiedere la revoca di provvedimenti restrittivi che imponevano la chiusura delle scuole: è il caso tra gli altri dell’Emilia Romagna, il cui TAR mette nero su bianco alcuni punti fermi sul provvedimento di chiusura che

«va immotivatamente a comprimere, se non a conculcare integralmente, il diritto degli adolescenti a frequentare di persona la scuola, quale luogo di istruzione e apprendimento culturale nonchè di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità, condizioni di benessere che non appaiono adeguatamente (se non sufficientemente) assicurate con la modalità in DAD, a mezzo dell’utilizzo di strumenti tecnici costituiti da videoterminali (di cui peraltro verosimilmente non tutta la popolazione scolastica interessata è dotata)».

E inoltre aggiunge:

«l’attività amministrativa di adozione di misure fronteggianti situazioni di pur così notevole gravità non può spingersi al punto tale da sacrificare in toto altri interessi costituzionalmente protetti»;

«d’altra parte riguardo alla “necessità di evitare assembramenti e sovraffollamenti” , l’Amministrazione procedente può agire con misure che incidono, “a monte” sul problema del trasporto pubblico di cui si avvale l’utenza scolastica e “a valle” con misure organizzative quali la turnazione degli alunni e la diversificazione degli orari di ingresso a scuola».

Studenti del liceo Tito Livio occupano il cortile della scuola in protesta contro la dad didattica a distanza

Studenti del liceo Tito Livio occupano il cortile della scuola in protesta contro la dad didattica a distanza – Milano 15 Gennaio 2021 Ansa/Matteo Corner

Anche le mobilitazioni studentesche si stanno intensificando, dopo una comprensibile fase di stanca, perché i ragazzi si stanno rendendo conto che restare a casa ad aspettare che le cose cambino non funziona, e così sono cominciate le manifestazioni, i presìdi, anche le occupazioni, a Milano, a Roma. Questa settimana in 13 regioni anche le superiori hanno ricominciato in presenza, mancano Puglia, Campania, Sardegna, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Basilicata e Calabria. Quello che si chiede da più parti è la riapertura stabile e non a singhiozzo, “deve passare il messaggio che la scuola è un bene primario, indispensabile come andare a prendere il pane” dicono ad un presidio.

E la comunità di Sant’Egidio ha lanciato l’allarme: “un bambino su quattro oggi non segue le lezioni”. I bambini e i ragazzi sono quel settore quasi sempre invisibile, per mesi neanche citato nelle misure né nelle conferenze stampa che si sono susseguite con regolarità ansiogena, e sono gli stessi che pagano le conseguenze più durature della situazione attuale. Quasi un anno è passato e probabilmente un altro anno passerà. Due anni di infanzia o di adolescenza non si possono rinviare, non tornano più, ed è compito nostro mettere bambini e ragazzi nelle condizioni di non perderli, e di garantire loro la sicurezza e un livello di benessere psicofisico accettabile anche in questo tempo difficile per tutti. Io queste le cose le penso a spanne, non ho le competenze tecniche per andare nel dettaglio, ma c’è chi le ha e lancia un segnale d’allarme:

Dobbiamo porre rapidamente l’attenzione sulla salute psicologica dei giovani, mentre il governo deve organizzarsi per garantire la riapertura di scuole, musei, teatri, palestre, sempre in sicurezza, progettando momenti di aggregazione monitorati. Questo lockdown ormai troppo lungo ruba la giovinezza e la fanciullezza e le patologie che già riscontriamo possono solo aumentare. Basta restare a guardare dalla finestra, è tempo di agire.

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