Caparezza e la scrittura

Ascolto Caparezza dai tempi di Verità supposte (2003) e sono tra coloro che lo amano, non tanto per il genere che non è il mio preferito quanto per il suo talento con le parole (anche musicalmente in realtà non è mai banale, ma ripeto, non è il mio genere né sono esperta). I suoi testi sono sempre una scoperta e sono pieni di riferimenti, a volte stranianti, a volte semplicemente fantastici, qualche volta a me ignoti. Trovo sorprendente la sua capacità di scrivere e musicare pezzi come Abiura di me, pieno di citazioni di videogiochi, o più recentemente Canthology che richiama almeno 16 pezzi suoi (almeno quelli che ho riconosciuto io, ma potrebbero certamente essermene sfuggiti). Ultimamente, riascoltandolo dopo un po’ e riscoprendo in particolare i suoi lavori più recenti ho notato che spesso fa riferimento alla scrittura: con essa ha un rapporto viscerale e che mi ispira terribilmente. Per questo ho raccolto i numerosi rimandi al tema presenti nei suoi testi. Ne risulterà un post un po’ lungo ma è un bellissimo viaggio.

Nel primo album pubblicato come Caparezza, ?!, è il brano La fitta sassaiola dell’ingiuria a contenere un primo riferimento: “mi piace sapermi diverso, piacere perverso che riverso in versi su fogli sparsi nei capoversi dei giorni persi nei miei rimorsi”. In Verità supposte è la traccia Jodellavitanonhocapitouncazzo: “io sono vivo ma non vivo perché respiro, mi sento vivo solo se sfilo la stilo e scrivo”. Nel già citato Abiura di me, uno dei singoli de Le dimensioni del mio caos, quarto album in studio uscito nel 2008, sia nella strofa “io devo scrivere perché sennò sclero, non mi interessa che tu condivida il mio pensiero”, che nel ritornello torna l’argomento: “io voglio passare ad un livello successivo, voglio dare vita a ciò che scrivo sono paranoico ed ossessivo fino all’abiura di me”.

Ne Il sogno eretico ci sono due piccoli riferimenti: “Ai sistemi operativi io preferisco la biro” (Ti sorrido mentre affogo); “nel mio romanzo fantasy sono un druido, ecco perché poi quando scrivo vado fluido” (L’ottavo, capitolo).

In Prisoner 709 le canzoni sono tre:

Scrivo, va bene, rileggo, non va bene esco, vita breve, tipo “di Adele” senza le scene lesbo, attaccato alla penna come la stampa al cronista, le parole crociate come santa conquista, da stacanovista, “staccanovista” perché stacco spesso e quando scrivo un pezzo qua stappano Crystal. (Prosopagnosia)

Hai la fine, penna e il mic, quindi fila, impenna, vai! (Prisoner 709)

Il rap è psicoterapia, quindi materia mia, block notes, penna a sfera, via!

Scrivo finché faccio fumo denso (Forever Jung)

E nell’ultima fatica, Exuvia, anche questo un album notevole, ben quattro brani hanno riferimenti alla scrittura, come se col passare del tempo la necessità di affermare il legame con essa aumentasse:

Ma che porto d’armi porta una penna che possa confortarmi (Canthology)

Chiuso con l’Amiga e il quattro piste mica con l’amica a farmi quattro piste, in una mattina quattro risme, preso dalla fissa del mio viaggio, Ulisse, rime senza criteri, la voce di ieri la faccia di Keith Haring prima della posse, prima che il rap fosse sulle tracce di Lenin (Campione dei 90)

Scrivo mille lettere, faccio rumore, lotto col silenzio ma ce la farò (La scelta)

Il testo che avrei voluto scrivere non è di certo questo il testo che avrei voluto scrivere non è di certo questo perciò dovrò continuare a scrivere perché di certo riesco prima o poi.

Scrivo tanto soddisfatto mai sono il vanto per i cartolai (Il testo che avrei voluto scrivere)

Ho appositamente saltato il sesto album, Museica, perché contiene un brano che è praticamente una dichiarazione d’amore per la scrittura: è China Town e va letto/ascoltato per intero.

Non è la fede che ha cambiato la mia vita ma l′inchiostro

Che guida le mie dita, la mia mano, il polso

Ancora mi scrivo addosso amore corrisposto

Scoppiato di colpo come quando corri Boston

Non è la droga a darmi la pelle d’oca ma

Pensare a Mozart in mano la penna d′oca là

Sullo scrittoio a disegnare quella nota FA la storia

Senza disco, né video, né social

Valium e Prozac non mi calmano

Datemi un calamo

O qualche penna su cui stampano

Il nome di un farmaco

Solo l’inchiostro cavalca il mio stato d’animo

Chiamalo ipotalamo

Lo immagino magico, tipo Dynamo

Altro che Freud

Ho un foglio bianco

Per volare alto lo macchio

Come l′ala di un Albatro

Per la città della China

Mi metto in viaggio (da bravo)

Pellegrinaggio

Ma non a Santiago

Vado a China Town

Vago dagli Appennini alle Ande

Nello zaino i miei pennini e le carte

Dormo nella tenda come uno scout

Scrivo appunti in un diario senza web layout

(China Town)

Il luogo non è molto distante

L′inchiostro scorre al posto del sangue

Basta una penna e rido come fa un clown

A volte la felicità costa meno di un pound

E’ China Town

Il mio Gange, la mia terra santa, la mia Mecca

Il prodigio che dà voce a chi non parla

A chi balbetta

Una landa lontana

Come un′amico di penna

Dove torniamo bambini

Come in un libro di Pennac

Lì si coltiva la pazienza degli amanuensi

L’inchiostro sa quante frasi nascondono i silenzi

D′un tratto esplode come un crepitio di mortaretti

Come i martelletti

Dell’Olivetti

Di Montanelli

Le canne a punta cariche di nero fumo

Il vizio

Di chi stende il papiro

Come uno scriba egizio

Questo pezzo lo scrivo ma parla chiaro

Nell′inchiostro mi confondo

Tipo caccia al calamaro

Sono Colombo

In pena

Che se la rema

Nell’attesa

Di un attracco

Nell’arena

Salto la cena

Scende la sera

Penna a sfera

Sulla pergamena

Ma non vado per l′America

Sono diretto a China Town

Vago dagli Appennini alle Ande

Nello zaino i miei pennini e le carte

Dormo nella tenda come uno scout

Scrivo appunti in un diario senza web layout

(China Town)

Il luogo non è molto distante

L′inchiostro scorre al posto del sangue

Basta una penna e rido come fa un clown

A volte la felicità costa meno di un pound

È con l’inchiostro

Che ho composto

Ogni mio testo

Ho dato un nuovo volto

A questi capelli da Billy Preston

Il prossimo concerto

Spero che arrivi presto

Entro sudato nel furgone

Osservo il palco spento

Lo lascio lì dov′è

Dal finestrino il film è surreale

Da Luis Buñuel

Arrivo in hotel

La stanza si accende

E’ quasi mattino

C′è sempre una penna sul comodino

China Town

Il luogo non è molto distante

L’inchiostro scorre al posto del sangue

Basta una penna e rido come fa un clown

A volte la felicità costa meno di un pound

Edit del 9 ottobre: quasi a conferma del mio post, ecco cosa posta Caparezza per il suo compleanno: “Per il mio compleanno mi sono regalato una macchina”. La macchina:

WhatsApp Image 2021-10-09 at 16.20.49

#AaAM My two cents

Anatra all'arancia meccanica. Racconti 2000-2010Anatra all’arancia meccanica. Racconti 2000-2010 by Wu Ming
My rating: 5 of 5 stars

Quel che mi ha sempre colpito degli scritti dei Wu Ming è la loro capacità di attivare le sinapsi, in maniere sempre nuove e ‘oblique’, per riprendere una autodefinizione del loro sguardo. Questo processo è cominciato nella mia testa con Q, prima lettura del collettivo, a firma Luther Blissett, un romanzo che nella mia personalissima opinione è IL romanzo (si sono Qu-ista!) e non si è interrotto in seguito, nel proseguire la scoperta della narrazione wuminghiana. Ed è quello che è accaduto anche con Anatra all’Arancia Meccanica, notevole raccolta di racconti che ripercorre dieci anni di storia italiana, gli Anni zero, insieme a dieci anni di riuscitissima narrativa. AaAM è scivolato velocemente, si è quasi letto da solo, non sempre facilmente per la forza sprigionata da alcune sue parti, attenuata in qualche caso dalla (s)fortuna di aver già letto questo o quello scritto. E’ il caso ad esempio de L’istituzione-branco, che se non avessi già letto più di una volta in rete mi avrebbe avvolta più densamente e mi avrebbe costretta a ripercorrerlo due e tre volte per ‘metabolizzarlo’. Duro e necessario quando fu pubblicato su Carmilla, non è affatto casuale la sua collocazione all’interno della raccolta, come credo non sia casuale nessun racconto. E’ difficile selezionarne uno su tutti perché il livello non scende mai, la tensione resta alta, anzi è forse un crescendo senza sosta. Facendo una necessaria menzione speciale ai due racconti ispirati al mondo disneyano (Pantegane e sangue e Canard à l’orange mécanique) vorrei concentrarmi sugli ultimi due racconti, proiettati al futuro, distopico ma non del tutto scevro di speranze. Roccaserena sembra un’avventura solitaria, ambientata in un futuro non troppo lontano ma abbastanza catastrofico, senza lieto fine, eppure c’è un sacchetto di plastica trasparente che in chiusura rinfranca, oserei dire disseta l’animo del lettore. Arzèstula appare come la migliore chiusura per ricordare che tutto è perduto, forse, ma che non tutto il perduto è perso per sempre. L’ambientazione non è così tetra come può apparire, perché nel racconto la narrazione si conferma come forza liberatrice, conferma di ciò che provo prendendo in mano un testo del genere.
P. S. La mia personalissima colonna sonora, nonostante il consiglio dell’ottimo De Lorenzis nell’introduzione, è stato il nuovo album di Caparezza, Il sogno eretico. Anche lui, da narratore, viene accusato perché racconta. Si sa, il problema in Italia è chi denuncia, non chi è criminale. Alcune assonanze mi hanno particolarmente colpito, come La marchetta di Popolino del cd accostata ai racconti disneyani.
P. S. 2 Il dubbio sulla nota rovesciata a p. 242, alla fine di In like Flynn l’ho risolto in diretta twitter grazie agli stessi autori:

La nota va letta davanti allo specchio, perché “nessuno è immune dal diventare ‘nazista’ ” http://bit.ly/f3q5NR #AaAM

Quando ho letto, ho realizzato. Lo sospettavo già.

View all my reviews