Innovation zones, futuro e distopie possibili

Una storia come quella della Superlega è esplosa sui social e da ventiquattr’ore tiene banco lì e suppongo anche sui media tradizionali con tante discussioni sull’appropriazione da parte dei ricchi di uno sport popolare anche se non è proprio così

 

e mancando spesso il punto.

Intanto le notizie su tech e media e soprattutto le analisi sul loro impatto nella nostra vita, superata la fase di hype sono tornate a mimetizzarsi nel flusso informativo, costante quanto ipertrofico, in cui siamo immersi. Dopo l’esplosione del caso Facebook vs Australia e il dibattito che ne è seguito, poco concludente a dire il vero, non fa più tanto clamore il proseguimento da parte di diversi stati dei tentativi di regolamentare l’ambiente online. Con tutti i suoi limiti è importante ad esempio richiamare l’ennesimo appello di Shoshana Zuboff sul rischio che stiamo correndo. Ha attirato ancor meno l’attenzione, almeno in Italia, la notizia sulla possibile prossima creazione di zone extraterritoriali all’interno degli stati. Dopo la nascita dello stato moderno praticamente ogni superficie del globo è stata regolamentata e affidata alla giurisdizione di una qualche entità statale. E nonostante la retorica sulla fine della centralità degli stati, né le organizzazioni internazionali o regionali né altre entità si sono dimostrate in grado di soppiantare il ruolo dello stato moderno. Eppure ci sono oggi entità extraterritoriali ben più potenti di tanti stati, e che si possono permettere, perché glielo permettono, è bene sottolinearlo, di agire al di là delle norme imposte a tutti coloro che risiedono all’interno di un territorio. Ciò si ricollega a quel che dicevamo sulla mancata regolazione delle aziende tech le quali hanno una dimensione, una pervasività e una trasversalità territoriale tali da poter dettare le condizioni, anche quando agiscono anche molto materialmente sui singoli territori.

Il vuoto normativo, il ritardo nell’implementare leggi che ricomprendessero realtà nel frattempo autoimpostesi, si accompagnano ovviamente ad un’ideologia che ha reso normale lo strapotere indiscriminato delle big tech. Quell’ideologia è il capitalismo, all’alba del XXI secolo apparentemente unico baluardo rimasto a dominare incontrastato, nonostante i suoi continui fallimenti: la crisi del 2008 è solo il penultimo tra questi, mentre la pandemia iniziata nel 2020 lo è sia nella sua origine che nella successiva gestione e ne paghiamo le conseguenze quotidianamente e in maniera drammatica. Un mondo nuovissimo, dominato da tecnologie che solo cinquant’anni fa avremmo considerato fantascientifiche, eppure tutto si organizza e si regge ancora su una teoria economica vecchia di secoli e basata su presupposti falsi o del tutto fittizi come la concorrenza perfetta e l’equilibrio di mercato. È per questo forse che non desta particolare scalpore la proposta di creare zone semi-autonome gestite da imprese tech tramite strumenti innovativi come le blockchain.  Un passo ulteriore nel concetto di smart city perché così si svincola totalmente dal potere statale.

La proposta del governo del Nevada è stata diffusa da The Nevada Independent e poi ripresa anche da altri siti di news come la BBC e riguarda delle particolari zone d’innovazione. La Blockchains LLC, l’azienda su cui è costruita la proposta, semplicemente dichiara che le regole che attualmente governano le comunità sono troppo rigide per i progetti “rivoluzionari” che hanno in mente. L’idea è quindi di creare distretti autonomi con la capacità di riscuotere tasse, gestire l’educazione obbligatoria, il trasporto locale e gli altri servizi normalmente demandati ai governi locali. Per creare una zona un privato deve possedere un’area di almeno 50.000 acri, garantire l’investimento di 1 miliardo di dollari (in dieci anni) e prevedere una tassazione specifica sulla tecnologia innovativa presente nella zona. Si tratta di conurbamenti creati dal nulla: “not have any permanent residents at the time of the application and not be part of any pre-existing city”. Se approvata la zona avrebbe tutti i poteri delle tipiche autorità locali e sarebbe retta da tre supervisori nominati dal governatore, due scelti da una lista di cinque candidati proposti dalla zona, nessuno dei quali con interessi economici diretti. Completato il “passaggio di consegne” con tutti i servizi locali affidati alla zona, questa non sarà più soggetta alle norme della contea. Si tratta di una svolta epocale che fa impallidire la pur inquietante Shitty Tech Adoption Curve che spiega bene Cory Doctorow in una serie di tweet qui raccolti. Ciò che è stato rivelato di questo piano va osservato più da vicino.

Unveiled last year, the plan envisions a city of more than 36,000 residents, 15,000 homes, and 11 million sq ft of commercial space. Blockchain estimates that, eventually, the city will generate $4.6bn in output annually.

For this to happen, Mr Berns says a new model of local government is needed in Nevada. This government would have powers to raise taxes, enforce the law, and administer public services such as schools, utilities and transport.

“There are some really cool things we could develop if we had the area and the flexibility to do it. That’s what this is about,” Mr Berns told the BBC.

Interrogato sulla filosofia dietro il proprio progetto, il fondatore di Blockchains risponde mettendo in campo una finta equidistanza tra stato e mercato e sfoggiando una prevedibile fiducia nel futuro e nella tecnologia:

“I’m not anti-government,” Mr Berns said. “But I do think the government has stuck its nose into our business too much. I think corporate America is worse than the government as far as sticking their nose in our business is concerned. So I’m trying to create a place where they can’t interfere.” For Mr Berns, “they” are an impediment to a future without risk-averse politicians who stifle innovation, or unaccountable tech firms that harvest our data for profit. Blockchain, Mr Berns argues, will help us invent that future.

“I want to create a place where we can rethink things. Where we can democratise democracy,”

Il senso di distopia nel pensare alla creazione di queste innovation zones per quanto mi riguarda è fortissimo. Il precedente è pericoloso, e mi sembra la trama di un film che non può finire che male, molto male.