Se tutto va bene, giovedì avrò in mano la tesi.. e il 30 mi laureo!!!
Ora mi sto buttando sulle letture e sulle meditazioni (o sul cazzeggio che dir si voglia!)
Voglio ricopiare qua due robe che mi scaldano il cuore… (voglio un commento di giz, claro?!)
http://www.wumingfoundation.com/italiano/Giap/giapxgenova.html

Dalle
moltitudini d’Europa in marcia contro l’Impero
e verso Genova (19-21 luglio 2001)
Noi
siamo nuovi, ma siamo quelli di sempre.
Siamo antichi per il futuro, esercito di disobbedienza le cui storie sono
armi, da secoli in marcia su questo continente. Nei nostri stendardi è
scritto “dignità”. In nome di essa combattiamo chi si vuole padrone
di persone, campi, boschi e corsi d’acqua, governa con l’arbitrio, impone
l’ordine dell’Impero, immiserisce le comunità.
Siamo
i contadini della Jacquerie. I mercenari della Guerra dei Cent’anni
razziavano i nostri villaggi, i nobili di Francia ci affamavano. Nell’anno
del Signore 1358 ci sollevammo, demolimmo castelli, ci riprendemmo il nostro.
Alcuni di noi furono catturati e decapitati. Sentimmo il sangue risalire le
narici, ma eravamo in marcia ormai, e non ci siamo più fermati.
Siamo
i ciompi di Firenze, popolo minuto di opifici e arti minori. Nell’anno
del Signore 1378 un cardatore ci guidò alla rivolta. Prendemmo il Comune,
riformammo arti e mestieri. I padroni fuggirono in campagna e di là
ci affamarono cingendo d’assedio la città. Dopo due anni di stenti
ci sconfissero, restaurarono l’oligarchia, ma il lento contagio dell’esempio
non lo potevano fermare.
Siamo
i contadini d’Inghilterra che presero le armi contro i nobili per porre fine
a gabelle e imposizioni. Nell’anno del Signore 1381 ascoltammo la predicazione
di John Ball: “Quando Adamo zappava ed Eva filava / chi era allora il padrone?”.
Con roncole e forconi muovemmo dall’Essex e dal Kent, occupammo Londra, appiccammo
fuochi, saccheggiammo il palazzo dell’Arcivescovo, aprimmo le porte delle
prigioni. Per ordine di re Riccardo II° molti di noi salirono al patibolo,
ma nulla sarebbe più stato come prima.
Siamo
gli hussiti. Siamo i taboriti. Siamo gli artigiani e operai
boemi, ribelli al papa, al re e all’imperatore dopo che il rogo consumò
Ian Hus. Nell’anno del signore 1419 assaltammo il municipio di Praga, defenestrammo
il borgomastro e i consiglieri comunali. Re Venceslao morì di crepacuore.
I potenti d’Europa ci mossero guerra, chiamammo alle armi il popolo ceco.
Respingemmo ogni invasione, contrattaccando entrammo in Austria, Ungheria,
Brandeburgo, Sassonia, Franconia, Palatinato… Il cuore di un continente
nelle nostre mani. Abolimmo il servaggio e le decime. Ci sconfissero trent’anni
di guerre e crociate.
Siamo
i trentaquattromila che risposero all’appello di Hans il pifferaio. Nell’anno
del Signore 1476, la Madonna di
Niklashausen si rivelò ad Hans e disse:
“Niente più re né principi. Niente più papato né
clero. Niente più tasse né decime. I campi, le foreste e i corsi
d’acqua saranno di tutti. Tutti saranno fratelli e nessuno possederà
più del suo vicino.”
Arrivammo il giorno di S. Margherita, una candela in una mano e una picca
nell’altra. La Santa Vergine ci avrebbe detto cosa fare. Ma i cavalieri del
Vescovo catturarono Hans, poi ci attaccarono e sconfissero. Hans bruciò
sul rogo. Non così le parole della Vergine.
Siamo
quelli dello Scarpone, salariati e contadini d’Alsazia che, nell’anno del
Signore 1493, cospirarono per giustiziare gli usurai e cancellare i debiti,
espropriare le ricchezze dei monasteri, ridurre lo stipendio dei preti, abolire
la confessione, sostituire al Tribunale Imperiale giudici di villaggio eletti
dal popolo. Il giorno della Santa Pasqua attaccammo la fortezza di Schlettstadt,
ma fummo sconfitti, e molti di noi impiccati o mutilati ed esposti al dileggio
delle genti. Ma quanti di noi proseguirono la marcia portarono lo Scarpone
in tutta la Germania. Dopo anni di repressione e riorganizzazione, nell’anno
del Signore 1513 lo Scarpone insorse a Friburgo. La marcia non si fermava,
né lo Scarpone ha più smesso di battere il suolo.
Siamo
il Povero Konrad, contadini di Svevia che si ribellarono alle tasse su vino,
carne e pane, nell’anno del Signore 1514. In cinquemila minacciammo di conquistare
Schorndorf, nella valle di Rems. Il duca Ulderico promise di abolire le nuove
tasse e ascoltare le lagnanze dei contadini, ma voleva solo prendere tempo.
La rivolta si estese a tutta la Svevia. Mandammo delegati alla Dieta di Stoccarda,
che accolse le nostre proposte, ordinando che Ulderico fosse affiancato da
un consiglio di cavalieri, borghesi e contadini, e che i beni dei monasteri
fossero espropriati e dati alla comunità. Ulderico convocò un’altra
Dieta a Tubinga, si rivolse agli altri principi e radunò una grande
armata. Gli ci volle del bello e del buono per espugnare la valle di Rems:
assediò e affamò il Povero Konrad sul monte Koppel, depredò
i villaggi, arrestò sedicimila contadini, sedici ebbero recisa la testa,
gli altri li condannò a pagare forti ammende. Ma il
Povero Konrad ancora
si solleva.
Siamo
i contadini d’Ungheria che, adunatisi per la crociata contro il Turco, decisero
invece di muover guerra ai signori, nell’anno del Signore 1514. Sessantamila
uomini in armi, guidati dal comandante Dozsa, portarono l’insurrezione in
tutto il paese. L’esercito dei nobili ci accerchiò a Czanad, dov’era
nata una repubblica di eguali. Ci presero dopo due mesi d’assedio. Dozsa fu
arrostito su un trono rovente, i suoi luogotenenti costretti a mangiarne le
carni per aver salva la vita. Migliaia di contadini furono impalati o impiccati.
La strage e quell’empia eucarestia deviarono ma non fermarono la marcia.
Siamo
l’esercito dei contadini e dei minatori di Thomas Muentzer. Nell’anno del
Signore 1524, al grido di: “Tutte le cose sono comuni!” dichiarammo guerra
all’ordine del mondo, i nostri Dodici Articoli fecero tremare i potenti d’Europa.
Conquistammo le città, scaldammo i cuori delle genti. I lanzichenecchi
ci sterminarono in Turingia, Muentzer fu
straziato dal boia, ma chi poteva
più negarlo? Ciò che apparteneva alla terra, alla terra sarebbe
tornato.
Siamo
i lavoranti e contadini senza podere che nell’anno del Signore 1649, a Walton-on-Thames,
Surrey, occuparono la terra comune e presero a sarchiarla e seminarla. “Diggers”,
ci chiamarono. “Zappatori”. Volevamo vivere insieme, mettere in comune i frutti
della terra. Più volte i proprietari terrieri istigarono contro di
noi folle inferocite. Villici e soldati ci assalirono e rovinarono il raccolto.
Quando tagliammo la legna nel bosco del demanio, i signori ci denunciarono.
Dicevano che avevamo violato le loro proprietà. Ci spostammo a Cobham
Manor, costruimmo case e seminammo grano. La cavalleria ci aggredì,
distrusse le case, calpestò il grano. Ricostruimmo, riseminammo. Altri
come noi si erano riuniti in Kent e in Northamptonshire. Una folla in tumulto
li allontanò. La legge ci scacciò, non
esitammo a rimetterci
in cammino.
Siamo
i servi, i lavoranti, i minatori, gli evasi e i disertori che si unirono ai
cosacchi di Pugaciov, per rovesciare gli autocrati di Russia e abolire il
servaggio. Nell’anno del Signore 1774 ci impadronimmo di roccaforti, espropriammo
ricchezze e dagli Urali ci dirigemmo verso Mosca. Pugaciov fu catturato, ma
il seme avrebbe dato frutti.
Siamo
l’esercito del generale Ludd. Scacciarono i nostri padri dalle terre su cui
vivevano, noi fummo operai tessitori, poi arrivò l’arnese, il telaio
meccanico… Nell’anno del Signore 1811, nelle campagne d’Inghilterra, per
tre mesi colpimmo fabbriche, distruggemmo telai, ci prendemmo gioco di guardie
e conestabili. Il governo ci mandò contro decine di migliaia di soldati
e civili in armi. Una legge infame stabilì che le macchine contavano
più delle persone, e chi le distruggeva andava impiccato. Lord Byron
ammonì:
“Non c’è abbastanza sangue nel vostro codice penale, che se ne deve
versare altro perché salga in cielo e testimoni contro di voi? Come
applicherete questa legge? Chiuderete un intero paese nelle sue prigioni?
Alzerete una forca in ogni campo e appenderete uomini come spaventacorvi?
O semplicemente attuerete uno sterminio?… Sono questi i rimedi per una popolazione
affamata e disperata?”.
Scatenammo la rivolta generale, ma eravamo provati, denutriti. Chi non penzolò
col cappio al collo fu portato in Australia. Ma il generale Ludd cavalca ancora
di notte, al limitare dei campi, e ancora raduna le armate.
Siamo
le moltitudini operaie del Cambridgeshire, agli ordini del Capitano Swing,
nell’anno del Signore 1830. Contro leggi
tiranniche ci ammutinammo, incendiammo
fienili, sfasciammo macchinari, minacciammo i padroni, attaccammo i posti
di polizia, giustiziammo i delatori. Fummo avviati al patibolo, ma la chiamata
del Capitano Swing serrava le file di un esercito più grande. La polvere
sollevata dal suo incedere si posava sulle giubbe degli sbirri e sulle toghe
dei giudici. Ci attendevano centocinquant’anni di assalto al cielo.
Siamo
i tessitori di Slesia che si ribellarono nell’anno 1844, gli stampatori
di cotonate che quello stesso anno infiammarono la Boemia, gli insorti proletari
dell’anno di grazia 1848, gli spettri che tormentarono le notti dei papi e
degli zar, dei padroni e dei loro lacchè. Siamo quelli di Parigi, anno
di grazia 1871.
Abbiamo attraversato il secolo della follia e delle vendette, e proseguiamo
la marcia.
Loro
si dicono nuovi, si battezzano con sigle esoteriche: G8, FMI, WB, WTO, NAFTA,
FTAA… Ma non ci ingannano, sono quelli di sempre: gli écorcheurs
che razziarono i nostri villaggi, gli oligarchi che si ripresero Firenze,
la corte dell’imperatore Sigismondo che attirò Ian Hus con l’inganno,
la Dieta di Tubinga che obbedì a Ulderico e annullò le conquiste
del Povero Konrad, i principi che mandarono i lanzichenecchi a Frankenhausen,
gli empii che arrostirono
Dozsa, i proprietari terrieri che tormentarono gli
Zappatori, gli autocrati che vinsero Pugaciov, il governo contro cui tuonò
Byron, il vecchio mondo che vanificò i nostri assalti e sfasciò
ogni scala per il cielo.
Oggi
hanno un nuovo impero, su tutto l’orbe impongono nuove servitù della
gleba, si pretendono padroni della Terra e del Mare.
Contro
di loro, ancora una volta, noi moltitudini ci solleviamo.
Genova.
Penisola italica.
19, 20 e 21 luglio
di un anno che non è più di alcun Signore.
http://www.osteriapopolareberica.it/Testi_Canzoni/Gert.htm
Canzone del capitano Gert
(furya – OPB)
Ho perduto il mio nome
Nella piana a Frankenhausen
Nel massacro degli eletti
Sotto ai colpi di Lutero
Ho battezzato i contadini
Con il fango e con la falce
Ho imparato la rivolta
Nei solchi delle loro facce
Era il tempo in cui il Maestro
Incendiava chiese e altari
Di chi ha tradito dio e gli oppressi
Lavandosi le mani
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Accettare la sconfitti
E mettermi a scappare
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Coltivare la vendetta
Negli occhi di chi ha sete e ha fame
Braccato senza tempo
Dalla Santa Inquisizione
Ho ritrovato dentro a un pozzo
La follia della ragione
Nei bordelli dell’impero
Nelle locande straboccanti
Ho brindato con la daga
All’epopea dei nuovi santi
Un profeta fornaio
Un poeta pappone
A ripulire il Tempio
Dai mercanti in confessione
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Rivestire la mantella
E cominciare a camminare
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Rimboccare la bisaccia
Di ferro, piombo e rame
Ma seminare la gramigna
In una terra concimata
Può portare a fioritura
Una rosa avvelenata
E se il frutto dell’orrore
È annaffiato con premura
Il raccolto di cancrena
È cosa assai sicura
Re Davide scortato
Dagli unti e dai bambini
A partorire il suo delirio
Tra le braccia dei becchini
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Sputare su ogni scettro
Il groviglio del mio errare
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Annusare senza tregua
Chi ha tradito come un cane
La mia memoria, la mia sacca
Solamente han conservato
Quattro lettere ingiallite
Sopra a un nome camuffato
Ma il sapore della rogna
E l’odore della merda
Basteranno per guidarmi
Dritto dritto alla tua reggia
Ho fottuto banchieri
Raggirato i loro affari
Per finire ad aspettarti
Tra le spezie ed i canali
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Imbastire coi giudei
Una trama colossale
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Portare il vaticano
Tra i tedeschi e le puttane
Venezia che galleggia
Sulla punta di un diamante
Venezia che mi accoglie
Senza far troppe domande
Con Demetra al CaratelloE il “Beneficio” nella mano
Ho cambiato le mie vesti
Con quelle di Tiziano
Ti ho attirato nella gabbia
Come un topo col formaggio
Per vedere com’è fatta
La faccia di un vigliacco
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Assistere alla fine
Di una storia trentennale
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Toglierti il cappuccio
E iniziare a ricordare…
Ripercorro nella nebbia
L’esistenza di un perdente
Tra i morti dietro a un sogno
E le spine del presente
Due vecchi, due racconti
Scritti sullo stesso muro:
Io non sono uguale a te
Non ho servito mai nessuno
Agli occhi dei potenti
E degli sbirri al loro soldo
Son tra quelli che han sfidato
L’ordine del mondo
Quello che devo fare
Quello che devo fare
Ridere di voi
E solcare ancora il mare
Nella bonaccia di chi attende
Di scagliare un’altra pietra
Possano i miei giorni
Trascorrer senza meta